Perché mai una partita di 15mila confezioni di pregiato sale himalayano, appena arrivato dal Pakistan nel porto di Ravenna, doveva riportare l’indicazione confezionato in Italia?
Immaginiamo la faccia dei finanzieri e dei doganieri quando, due giorni fa, aprendo un container appena sbarcato si sono ritrovati di fronte a due tonnellate di sale evidentemente etichettato in maniera ingannevole, per far credere agli italiani che parte della lavorazione fosse italiana. Cosa, evidentemente falsa, tanto che il prodotto in “violazione della normativa sulla corretta etichettatura dei prodotti ad uso alimentare” è stato sequestrato e l’importatore ha ricevuto una sanzione pecuniaria.
Ma quale Himalaya…
Chiunque di noi abbia il vezzo della cucina o della tavola non ignorerà l’esistenza del pregiato sale rosa. Se non altro per il prezzo che va da poco più di 3 euro al chilo fino a superare facilmente i 30 euro. Insomma da 6 a 60 volte il prezzo del comune sale marino iodato. Non tutti sanno che l’Himalaya c’entra davvero poco con la provenienza, dato che questo minerale viene estratto nella catena del Sal Range, nella parte settentrionale del Punjab in Pakistan. Il suo colore variamente rosato si deve al contenuto di ferro, da 0,2 a 50 mg per chilo una quantità insignificante dal punto di vista nutrizionale ma sufficiente per far diventare famoso questo sale. Il resto? È leggenda. La sua purezza, i metodi artigianali di estrazione, il contenuto di oligoelementi preziosi, sono elementi di dubbio significato. Magari più importante potrebbe essere notare che non contiene iodio presente invece, per ragioni di prevenzione sanitaria, in tutte le confezioni che acquistiamo per molto meno nei supermercati. Se non fosse che, visti i prezzi, dubitiamo che un normale consumatore sia in grado di permettersi di sostituire del tutto il comune sale bianco con quello rosa…